Ultimamente mi è capitato non di rado di incontrare articoli come questo, che rimarcano, dai toni dello stesso sembrerebbe quasi unidirezionalmente e più per orgoglio che per altre ragioni, la forte affermazione dei confini della propria nazione, e volevo fare alcune considerazioni su questo atteggiamento dai risvolti storico-antropologici, caratterizzato dai suoi flussi, reflussi e riflessi.
Le frontiere salvano i popoli e le civiltà?
Risposta breve: le frontiere non sono una condizione necessaria per salvare popoli e civiltà, e bisognerebbe trovare un punto di equilibrio, peraltro soggettivo, tra vantaggi e svantaggi a seconda dei casi. L'esistenza di frontiere sostanzialmente dipende da chi o che cosa si salverebbe e da chi o da che cosa, in base ai rapporti tra i paesi confinanti, valutando se l'uno è oggetto di una realistica minaccia di qualche tipo per l'altro (ad esempio minaccia bellica, imposizione invasiva di culture, usi o costumi altrui, migrazioni di massa realisticamente insostenibili per un paese ospitante, ed altre ragioni del genere), oppure se i relativi rapporti sono distesi, poi bisogna considerare il 'tipo' di frontiere (più o meno restrittive) anche in base alle loro relazioni. Nel contesto ci sono un certo numero di variabili, compresa anche la bidirezionalità delle limitazioni, ossia l'entrare e l'uscire dai confini. Ma quello che vorrei far capire è che le identità delle collettività possono prescindere dal fatto che queste siano confinate o meno.
Questo è quanto suggeriscono alcune argomentazioni, come l'articolo da cui sono partito e che mi è capitato di leggere, dove mi sembra che in quello in sostanza l'autore leghi indissolubilmente l'esistenza delle frontiere alle identità dei popoli (culturali, artistiche, tradizioni, usanze e quant'altro), ma pensiamo al fatto che, per centinaia di migliaia di anni, prima che gli esseri umani diventassero stanziali (sostanzialmente con l'avvento dell'agricoltura), essendo nomadi o semi-nomadi, certamente le tribù di allora avevano le loro 'identità' ossia usanze, tradizioni, riti ecc.
Come identità non confinate, a tutt'oggi mi risultano ad esempio i Tuareg del deserto del Sahara, per non menzionare zingari e gitani (su cui poi si potrebbe discutere su alcuni loro comportamenti, ma questo è un'altro discorso),
i tanti gruppi etnici in Cina (dovremmo tracciare dei confini per ognuno?), uno per tutti gli
Uiguri, e per certi versi i cinesi fuori dal loro paese, come gli ebrei; ed ancora, seppur pochissimi, esistono gruppi allo stato semi-tribale. Più identità di quelle...
Simili implicazioni sussisterebbero per altre etnie senza propri confini, ma annesse o ricomprese più o meno coercitivamente in altri stati, ad esempio i Curdi, politicamente divisi fra gli attuali stati di Turchia, Iran, Iraq e, in minor misura, Siria e Armenia, e qui il discorso si fà più delicato e complesso.
Altra considerazione, molte notevoli creazioni artistiche non sarebbero potute esistere senza 'contaminazioni' inter-culturali, per citare un esempio, rimanendo in Italia, la basilica di San Marco a Venezia, in stile romanico-bizantino-gotico-moresco, un'altro esempio è l'Alhambra a Granada in Spagna, punto di riferimento sempre dell'arte moresca. Se ci fossero stati confini invalicabili, queste notevoli creazioni artistiche non sarebbero state create.
Quindi io farei attenzione quando si parla di frontiere, perchè il problema è che se rappresentano un atteggiamento di chiusura verso l'altro, allora presumibilmente si perderebbero opportunità di interscambi (noi europei pensiamo ad esempio a patate, pomodori, mais ed altri alimenti introdotti dalle Americhe, oramai di uso comune e poi, per come la penso io, purtroppo il petrolio, e poi il gas) e di crescita culturale reciproca, a meno che, come ho già detto, non ci si debba difendere da minacce reali provenienti da qualcuno aldilà di un confine. Se invece i confini rappresentano l'andare più in una direzione di ragionevole accoglienza, tali 'meno-frontiere' sono occasioni di arricchimento per tutte le parti coinvolte. Del resto, nella storia umana le frontiere son sempre state in perenne modificazione, ed è facilmente intuibile che lo saranno sempre con i loro tempi e modi,
basti pensare ai vari imperi che hanno attraversato la nostra storia con i relativi stravolgimenti dei confini, come ad esempio la colonizzazione del nord America, dove gli indiani sono stati, appunto, confinati nelle riserve dai colonizzatori. E dal punto di vista storico, gli stessi Stati sono un'istituzione caratteristica dell'età moderna e, almeno in origine, caratteristica dell'Occidente (cfr. Wikipedia).
E a mio avviso, la soluzione più 'virtuosa' è un mondo composto di amministrazioni di governo a vario titolo decentrate, repubblicane, come in Europa lo sono al loro interno ad esempio Germania, Austria, Belgio e Svizzera, ed è in piedi la questione politica di una Europa in tal senso.
Come sintesi concettuale conclusiva, mi auspico un'approccio più flessibile in materia di frontiere: i confini non devono per forza esistere, e allo stesso modo neanche devono per forza esistere solo non-confini. Né l'una né l'altra cosa.
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